I frequentatori abituali della serialità televisiva hanno senz’altro familiarità con il sorkin speech, espressione che va a indicare quel particolare modo di dar voce a personaggi il cui lavoro rappresenta la loro missione di vita e professione di fede. I personaggi infusi dal sorkin speech sono dotati di un’etica di ferro, una passione lucida e un’arringante abilità oratoria che li porta a esprimersi come se ogni volta dovessero consegnare alla storia il loro personale discorso di San Crispino, solo a velocità 2x. Sono personaggi caratterizzati da un’ intelligenza di stampo illuministico e sprezzo per la mancanza d’integrità, peculiarità che li portano, più che a dialogare, a duellare a colpi di monologhi.

Se vi è capitato di vedere Miss Sloane – inspiegabilmente e vergognosamente passato sotto silenzio se non per una nomination ai Golden Globe – avrete di sicuro avuto l’impressione di trovarvi di fronte a una sceneggiatura di  Aaron Sorkin. La storia si origina in un ambiente fortemente competitivo, contaminato dalla politica, ad alto tasso di dilemmi etici: l’habitat naturale in cui osservare e studiare il personaggio tipo di Sorkin. Invece no. Miss Sloane è a firma di Jonathan Perera alla sua prima – notevole – sceneggiatura, ma la protagonista è una straordinaria Jessica Chastain che, senza saperlo, stava facendo le prove generali per prodursi in autentici sorkin speech. 

Molly’s Game – Jessica Chastain è la Molly del titolo –  è il primo film non solo scritto ma anche diretto da Sorkin. Ironia della sorte, dopo essere diventato riconoscibile – e a questo punto imitato – per i suoi dialoghi,  l’autore opta per un mezzo narrativo che mai ci saremmo aspettati da lui: la voce narrante.

Molly’s Game è in parte tratto dall’omonimo memoir di Molly Bloom, definita a suo tempo la “principessa del poker”. La signora Bloom è un’ex sciatrice a cui uno sfortunato incidente ha impedito di entrare nel team olimpico: da quel momento la sua vita ha preso una direzione del tutto inaspettata e Molly, per un cocktail di circostanze e scelte consapevoli, è diventata l’organizzatrice di super glamour e super esclusivi incontri di poker tra celebrities: star hollywoodiane, registi, produttori, top manager, tutti individui con in comune fondi illimitati e il desiderio di competere in un gioco indifferente al fascino e al carisma dei giocatori stessi. In una stanza all’interno della quale alcuni tra gli uomini più popolari, ricchi e desiderati del mondo non potevano comprare una vittoria, Molly Bloom era la donna che aveva in mano il gioco.

Il racconto si dipana attraverso due linee narrative che si rincorrono fino a ricongiungersi al momento presente: la prima è caratterizzata dal voice over della protagonista che introduce lo spettatore nella sua vita, illustra passo dopo passo causa ed effetti delle sue decisioni, mette a parte del suo stato d’animo, dei suoi pensieri e nel mentre trasmette la sua spinta alla ricerca del successo. Questa è la parte basata sul memoir. La seconda linea narrativa è collocata temporalmente dopo quanto raccontato nel libro, ed è la storia di come Molly Bloom sia arrivata a perdere (quasi) tutto a causa di un’indagine dell’FBI.

A una prima occhiata sembra un materiale che solo tangenzialmente potrebbe interessare Aaron Sorkin, in realtà la sua Molly Bloom è l’ennesimo personaggio estremamente arguto – e manifestamente di intelligenza superiore – sul quale modella una storia. E anche se l’ambiente di lavoro questa volta è una sfilata di lussuose stanze d’albergo, gli affari condotti da Molly sono gestiti con un’etica indefessa e un rispetto per il gioco e la privacy dei giocatori a cui Molly non rinuncia neanche quando ne avrebbe solo da guadagnare. Sono proprio questi i momenti in cui la sceneggiatura vibra maggiormente, le scene in cui Molly si trova a difendere la sua posizione e la sua integrità. Il “buon nome”, concetto al limite di un’aristocratica prosaicità acquista per bocca di Molly una forte dimensione morale, quasi filosofica.

La voce narrante di Jessica Chastain è stata una precisa scelta di Sorkin, l’autore desiderava che fosse proprio Molly a raccontare la sua storia e, per quanto sia una decisione spesso di comodo, qui funziona soprattutto grazie a una sfavillante Chastain che si produce in una ennesima interpretazione che la qualifica come una delle pochissime attrici in grado di caricarsi un intero film sulle spalle senza far venire meno l’attenzione dello spettatore. Zero Dark Thirty, Miss Sloane e Molly’s Game potrebbero quasi essere presi come una sorta di trilogia non ufficiale dell’attrice.

Il film sarebbe un one woman show se non fosse per la magnetica presenza di Idris Elba, appassionato difensore conquistato dall’integrità della sua assistita, e Michael Cera in un insolito – e per questo ancora più gustoso – ruolo di perfido e pericoloso manipolatore.

Aaron Sorkin supera quindi la doppia prova: il maneggiare un materiale per lui non usuale, con una protagonista femminile – anche se si perde un po’ nella gestione dei daddy issues – e lo stare dietro la camera. Per chi ama il suo stile Molly’s Game è in modo non convenzionale un film di Sorkin.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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